L’efficacia probatoria dei messaggi WhatsApp nei processi familiari
Che efficacia probatoria possiede un messaggio WhatsApp nel processo civile e, in particolare, in quello familiare?
Infatti, la recente evoluzione tecnologica ha fatto sì che le applicazioni di messaggistica istantanea — prima tra tutte WhatsApp, ma tra queste possono annoverarsi anche Facebook e molte altre — siano diventate il mezzo primario di comunicazione.
Per questo motivo accade spesso che conversazioni intrattenute mediante strumenti di messaggistica istantanea assumano un ruolo rilevante anche ai fini del giudizio e, pertanto, risulti importante poterle utilizzare nell’ambito del relativo procedimento.
Innanzitutto, l’orientamento dominante della Corte di Cassazione vuole che i contemporanei sistemi di messaggistica (e, fra questi, debbono annoverarsi i WhatsApp, gli SMS, le e-mail) abbiano l’efficacia di “piena prova”, che l’art. 2712 c.c. attribuisce alle riproduzioni informatiche (Cass., 17 luglio 2019, n. 19155).
Una volta chiarito il valore di prova documentale delle conversazioni intrattenute tramite strumenti di messaggistica istantanea, l’attenzione va focalizzata sulle modalità attraverso cui far entrare tali prove nel giudizio, affinché le stesse risultino utilizzabili ai fini della decisione. In particolare, la questione attiene all’attendibilità della prova.
Infatti, una delle problematiche più ricorrenti con riguardo alle prove informatiche attiene alla loro affidabilità, stante la facilità di manipolazione a cui le stesse sono soggette e la questione si pone, nello specifico, quando vengono prodotte in giudizio trascrizioni o riproduzioni delle originali riproduzioni.
Quanto al processo civile, alla luce del principio di non contestazione e del disposto di cui all’art. 2712 c.c., l’orientamento della giurisprudenza è quello di valorizzare l’utilizzabilità e l’attendibilità della prova fornita fino a quando la sua fedeltà all’originale non sia disconosciuta dalla parte contro cui la stessa è utilizzata.
Tuttavia, ai fini del disconoscimento, valgono alcune precisazioni importi.
In primo luogo, non bisogna confondere il disconoscimento in esame con quello riguardante la scrittura privata.
Il codice di procedura civile, infatti, stabilisce che colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione (art. 214 c.p.c.). Il disconoscimento deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione (art. 215 c.p.c.). Ed ancora, la parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la “verificazione”, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione (art. 216 c.p.c.). Qualora l’istanza di verificazione non venga proposta (o, che è lo stesso, non abbia l’esito sperato dall’istante), la scrittura non può essere utilizzata.
A conclusioni diverse, invece, si deve giungere per un WhatsApp o per un SMS disconosciuto, per il quale non può escludersi che il giudice, in caso di disconoscimento, accerti la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (così Cass., 21 febbraio 2019, n. 5141).
Inoltre, venendo ad una successiva precisazione, non è sufficiente una semplice contestazione del messaggio, bensì il disconoscimento deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, e deve concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta (v. Cass. 19 gennaio 2018, n. 1250).
Pertanto, la giurisprudenza prevalente riconduce i moderni sistemi di messaggistica nell’ambito dell’art. 2712 c.c.: per questa via, essi formano “piena prova”, a meno che non vengano contestati in modo circostanziato.
Peraltro, ancorché ciò avvenga, il giudice resta libero di accertare la corrispondenza della riproduzione all’originale avvalendosi di altri mezzi di prova.
What evidentiary effectiveness does a WhatsApp message have in civil proceedings and, in particular, in family proceedings?
In fact, the recent technological evolution has meant that instant messaging applications – first of all WhatsApp, but among these can also be counted Facebook and many others – have become the primary means of communication.
For this reason, it often happens that conversations held by means of instant messaging tools take on a relevant role also for the purposes of judgement and, therefore, it is important to be able to use them in the relative proceedings.
First of all, the dominant orientation of the Court of Cassation wants that contemporary messaging systems (and, among these, must include WhatsApp, SMS, e-mail) have the effectiveness of “full evidence”, which art. 2712 Civil Code attributes to computer reproductions (Cass., July 17, 2019, no. 19155).
Once clarified the value of documentary evidence of conversations entertained through instant messaging tools, the attention should be focused on the ways through which to enter such evidence in the judgment, so that they are usable for the purposes of the decision. In particular, the question concerns the reliability of the evidence.
In fact, one of the most recurrent problems with regard to computerised evidence concerns its reliability, given the ease with which it can be manipulated and the question arises, specifically, when transcriptions or reproductions of the original reproductions are produced in court.
As regards civil proceedings, in the light of the principle of non-contestation and the provisions of art. 2712 of the Civil Code, the orientation of jurisprudence is to enhance the usability and reliability of the evidence provided until its faithfulness to the original is disavowed by the party against whom it is used.
However, for the purposes of disavowal, some important clarifications apply.
Firstly, the disavowal in question should not be confused with that concerning private writing.
The code of civil procedure, in fact, establishes that the person against whom a private contract is produced, if he intends to disavow it, must formally deny his own writing or his own signature (art. 214 c.p.c.). The disavowal must take place in the first hearing or in the first response subsequent to the production (art. 215 c.p.c.). Furthermore, the party who intends to make use of the disavowed writing must request its “verification”, proposing the means of proof that it considers useful and producing or indicating the writings that can serve as a comparison (art. 216 c.p.c.). If the request for verification is not proposed (or, which is the same, does not have the outcome hoped for by the applicant), the records cannot be used.
A different conclusion, however, must be reached for a WhatsApp or for a disavowed SMS, for which it cannot be excluded that the judge, in case of disavowal, ascertains the correspondence to the original also through other means of evidence, including presumptions (so Cass., 21 February 2019, no. 5141).
Moreover, coming to a subsequent clarification, it is not sufficient to simply contest the message, but the disavowal must be clear, circumstantial and explicit, and must materialize in the allegation of elements attesting to the non-correspondence between the factual reality and the reproduced one (see Cass. January 19, 2018, no. 1250).
Therefore, the prevailing jurisprudence brings modern messaging systems within the scope of Article 2712 of the Civil Code: in this way, they form “full evidence”, unless they are not contested in a circumstantial manner.
However, even if this happens, the judge remains free to ascertain the correspondence of the reproduction to the original by using other means of proof.