L’ASSEGNO DIVORZILE VIENE RIDOTTO SE L’EX CONIUGE SCEGLIE DI LAVORARE PART-TIME

La Suprema Corte di Cassazione, con la recente Ordinanza n. 23318/2021 pubblicata il 23.8.2021, ha chiarito che nel riconoscimento dell’assegno di divorzio occorre analizzare se la scelta dell’ex coniuge di svolgere un lavoro part-time sia stata presa in autonomia o in modo condiviso. Il caso trae origine dalla statuizione del Tribunale di Terni che, nel pronunciare il divorzio tra i coniugi, aveva posto a carico del marito l’obbligo di versare alla moglie un assegno divorzile pari ad € 900,00.Il marito, allora, ricorreva in appello e l’impugnazione veniva accolta parzialmente e l’assegno divorzile in favore della moglie veniva ridotto ad € 600,00. A fondamento di tale decisione la Corte d’Appello di Perugia richiamava il recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione che attribuiva all’assegno divorzile funzione assistenziale-compensativa, subordinando il riconoscimento del relativo diritto alla valutazione dell’adeguatezza dei mezzi a disposizione del richiedente, da effettuarsi sulla base delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi e degli altri indicatori risultanti dall’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, al fine di accertare se l’eventuale disparità fosse riconducibile alle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio. Dal momento che tale valutazione non richiedeva l’accertamento dei redditi dei coniugi nel loro esatto ammontare, risultando sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali degli stessi, la Corte aveva ritenuto dimostrata la sussistenza di uno squilibrio reddituale e patrimoniale tra le parti. La moglie rinunciava al ricorso principale e la Suprema Corte convertiva il ricorso incidentale in principale. Con il secondo motivo il marito lamenta la violazione da parte della Corte di Appello dell’art. 5 della legge sul divorzio n. 898/1970 e l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo osservando che, nell’escludere l’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione della moglie, la Sentenza impugnata, la Corte d’Appello non aveva tenuto conto della scelta dalla stessa compiuta di lavorare a tempo parziale anziché a tempo pieno. La Suprema Corte di Cassazione ritiene fondato tale motivo dal momento che la Corte D’Appello sebbene abbia correttamente richiamato il recente orientamento giurisprudenziale relativo alla definizione e ai criteri per la determinazione dell’assegno divorzile, tuttavia, non ne ha fatto una corretta applicazione. Infatti, nell’esame della situazione reddituale dei coniugi la Corte aveva evidenziato un rilevante squilibrio tra gli introiti derivanti dalle attività lavorative svolte dai coniugi ma aveva trascurato la circostanza che la ex moglie, pur essendo titolare di un rapporto a tempo indeterminato, lavorava part time la Corte di merito non aveva approfondito quando fosse maturata tale decisione e le sottese ragioni nonché se tale scelta fosse stata assunta autonomamente o in modo condiviso con il marito. Gli Ermellini ritengono, infatti, che tale valutazione non è trascurabile ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno di divorzio, perché se la scelta fosse riconducibile alla necessità di far fronte contemporaneamente alle esigenze della famiglia e all’accudimento della figlia, i relativi effetti dovrebbero essere tenuti in considerazione ai fini della determinazione dell’assegno, sotto il duplice profilo del sacrificio della capacità professionale e reddituale della ricorrente e del contributo fornito dalla stessa alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune. La Corte ha, altresì, omesso di accertare se tale scelta sia, ormai, irreversibile oppure se, come sostiene il controricorrente, la donna potrebbe incrementare il proprio reddito optando per il tempo pieno. In questo caso, infatti, il predetto squilibrio economico non potrebbe essere considerato come frutto di scelte comuni, ma decisione esclusiva e autonoma della moglie che, pur essendo ormai libera dagli impegni familiari anche per l’età della figlia, non intende porre pienamente a frutto la propria capacità di lavoro professionale. The Supreme Court of Cassation, with the recent Order No. 23318/2021 published on 23.8.2021, clarified that in the recognition of the divorce allowance should be analyzed whether the choice of the former spouse to work part-time was taken independently or in a shared way.The case originates from the ruling of the Court of Terni that, in pronouncing the divorce between the spouses, had placed on the husband the obligation to pay his wife a divorce allowance of € 900.00.The husband, then, appealed and the appeal was partially accepted and the divorce allowance in favor of the wife was reduced to € 600.00. On the basis of this decision, the Court of Appeal of Perugia recalled the recent orientation of the Supreme Court of Cassation, which attributed to the divorce allowance compensatory welfare function, subject to the recognition of its right to the assessment of the adequacy of the means available to the applicant, to be made on the basis of the economic and financial conditions of the spouses and other indicators resulting from art. 5, sixth paragraph, of Law no. 898 of December 1, 1970, in order to ascertain whether any disparity was due to the choices of conducting family life adopted and shared during the marriage. Given that such an assessment did not require verification of the spouses’ incomes in their exact amount, since a reliable reconstruction of their overall asset and income situations was sufficient, the Court deemed that the existence of an imbalance in income and assets between the parties had been demonstrated.The wife waived her main appeal and the Supreme Court converted the cross appeal into a main one. With the second reason, the husband claims that the Court of Appeal violated art. 5 of Divorce Law no. 898/1970 and failed to examine a controversial and decisive fact, observing that, in excluding the adequacy of the economic means available to the wife, the Court of Appeal had not taken into account the choice made by the same wife to work part-time instead of full-time.The Supreme Court of Cassation believes that this reason is well-founded since the Court of Appeal, although it has correctly referred to the recent jurisprudential orientation on the definition and criteria for determining the divorce allowance, however, has not made a correct application. In fact, in examining the income situation of the spouses, the Court had shown a significant imbalance between the income from work activities carried out by the spouses but had overlooked the circumstance that the ex-wife, despite having a permanent relationship, worked part time, the Court of merit had not investigated when this decision had matured and the underlying reasons and whether this choice had been taken independently or in a shared way with the husband. The judges believe, in fact, that this assessment is not negligible for the recognition and quantification of divorce benefits, because if the choice was due to the need to meet simultaneously the needs of the family and the care of the daughter, its effects should be taken into account for the determination of the allowance, under the dual profile of the sacrifice of the professional and income of the applicant and the contribution made by the same to the conduct of family life and the formation of the common heritage.The Court also failed to ascertain whether such a choice is now irreversible or whether, as the plaintiff claims, the woman could increase her income by opting for full-time employment. In this case, in fact, the aforesaid economic imbalance could not be considered as the result of common choices, but the exclusive and autonomous decision of the wife who, although she is now free from family commitments also because of her daughter’s age, does not intend to make full use of her professional work capacity.