La madre di un minore non decade dalla responsabilità genitoriale pur opponendosi ai rapporti padre/figlio

Cass. civ., sez. I, ord., 24 marzo 2022, n. 9691
Il caso. Il Tribunale per i Minorenni di Roma disponeva la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale di una donna, madre di un minore, nato da una relazione sentimentale con un uomo, poi cessata. Disponeva altresì l’allontanamento del minore dal contesto familiare e il suo collocamento in una casa-famiglia, nonché la temporanea sospensione di ogni rapporto tra la madre e il minore. Riteneva necessarie e giustificate le proprie statuizioni dalla necessità di poter consentire l’instaurazione di legittimi rapporti genitoriali tra il minore – che viveva in casa con la madre e i nonni materni – e il padre, il quale non aveva potuto esercitare alcun tipo di frequentazione continuativa con il figlio.
Avverso il decreto la donna proponeva reclamo dinanzi alla Corte di Appello di Roma, la quale lo rigettava, confermando ed integrando il provvedimento reclamato. Si osserva che tutti i tentativi posti in essere per consentire al padre l’incontro e la frequentazione con il figlio erano stati ostacolati e resi difficili dalla convivenza del minore con la madre.
La Corte d’Appello, già con un precedente provvedimento del 2020, aveva dato una serie di disposizioni, dettagliate ed esaustive, per attivare un percorso di sostegno psicoterapeutico del minore, incaricando il tutore di predisporre un progetto operativo volto alla ripresa dei rapporti diretti tra il minore e il padre. Sia il Tribunale che la Corte territoriale prendono atto di come le suddette prescrizioni siano state completamente disattese e il progetto sia rimasto del tutto ineseguito. Ad avviso della Corte, il Tribunale – constatando l’impossibilità di instaurare una relazione padre/figlio e la necessità di intervenire prontamente, essendo il minore giunto alla soglia dell’età adolescenziale – non ha voluto adottare un provvedimento punitivo nei confronti della madre, bensì tutelare l’integrità psico-fisica del minore, danneggiato dalla mancanza di un rapporto affettivo con la figura paterna. Disponendo il collocamento del minore in uno spazio terzo, quale è la casa-famiglia, la Corte auspica la possibilità che il minore recuperi una relazione con il genitore.
La donna propone ricorso per Cassazione sulla base di nove motivi. L’uomo resiste con controricorso, unitamente al curatore speciale del minore.
Osservazioni. La donna ritiene che la Corte territoriale, nel decidere sul reclamo, abbia omesso di esaminare i motivi dello stesso, affidandosi semplicemente alle conclusioni dei CTU – che si richiamavano alla figura della sindrome da alienazione parentale (c.d. PAS) -, recependole acriticamente, e non considerando in alcun modo la patologia sofferta dal figlio e la scarsa attenzione del padre rispetto alla stessa. Per la signora, la Corte territoriale, nel valutare il migliore interesse del minore, non ha tenuto conto dei rischi derivanti allo stesso da un drastico e incomprensibile sradicamento dal proprio ambiente e dai propri affetti e da una esposizione forzosa ad una situazione per lui fonte di ansia e di paura e comunque estranea. Ritiene, inoltre, ingiustificato il mancato ascolto del minore, quasi dodicenne, e capace di discernimento.
La ricorrente si duole altresì del fatto che il provvedimento impugnato, anche in relazione al divieto assoluto del minore di avere contatti con la madre, non risponda al suo interesse superiore e al suo diritto di non subire ingerenze nella propria vita privata. Ritiene, infatti, che un provvedimento così drastico costituisca, anche alla luce della giurisprudenza CEDU, l’extrema ratio in caso di condotte indegne del genitore. La Suprema Corte, in più occasioni, ha affermato che, nell’interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione. Orientamento, questo, che trova riscontro anche nella giurisprudenza della CEDU, la quale invita le autorità nazionali ad adottare tutte le misure volte ad assicurare il mantenimento dei legami tra il genitore e i figli, affermando che per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare.
Sia la Corte d’Appello che il Tribunale non hanno considerato le ripercussioni e i traumi che il minore patirebbe in conseguenza di una brusca e definitiva sottrazione dello stesso dal proprio ambiente familiare e dalla relazione con la madre, con la rottura di ogni consuetudine di vita. Quello alla bigenitorialità è in primis un diritto del minore, che va attuato con modalità che consentano di realizzare il suo miglior interesse. Ogni decisione sull’affidamento del minore dev’essere prioritariamente orientata a garantire il suo massimo benessere.
I Supremi Giudici ritengono che il fatto che il minore abbia sempre convissuto con la madre non equivale ad affermare che la sua volontà di non incontrare il padre, o di non incontralo con le frequenze prescritte, sia inevitabilmente coartata dalla madre. I Giudici osservano che, nel caso in esame, il minore, ormai dodicenne, doveva essere ascoltato, considerando la gravità del provvedimento da adottare. Per il Collegio il diritto alla bigenitorialità del padre non è definitivamente compromesso.
Conclusione. La Corte di Cassazione rigetta il primo motivo di ricorso, esamina congiuntamente e accoglie il terzo, quarto, sesto, settimo, ottavo e nono e dichiara inammissibili i restanti motivi. Cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, Sezione specializzata per i minorenni, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

The case. The Tribunale per i Minorenni di Roma (Rome Juvenile Court) ordered the disqualification from exercising parental responsibility of a woman, mother of a child born of a romantic relationship with a man, which then ended. He also ordered the removal of the child from the family environment and his placement in a foster home, as well as the temporary suspension of all relations between the mother and the child. He considered his decisions necessary and justified by the need to allow the establishment of legitimate parental relations between the child – who lived at home with his mother and maternal grandparents – and his father, who had not been able to have any kind of continuous contact with the child.
The woman lodged a complaint against the decree with the Rome Court of Appeal, which rejected it, confirming and supplementing the measure. It was noted that all the attempts made to allow the father to meet and see his son had been hampered and made difficult by the child’s cohabitation with his mother.
The Court of Appeal, already in a previous decision of 2020, had given a series of detailed and exhaustive instructions to activate a psychotherapeutic support path for the minor, instructing the guardian to prepare an operational project aimed at the resumption of direct relations between the minor and the father. Both the Court of First Instance and the Territorial Court noted that the above-mentioned provisions had been completely disregarded and the project had not been implemented. In the Court’s opinion, the Court – noting the impossibility of establishing a father/son relationship and the need to intervene promptly, since the child had reached the threshold of adolescence – did not intend to adopt a punitive measure against the mother, but rather to protect the child’s psychological and physical integrity, damaged by the lack of an emotional relationship with the father figure. By ordering the placement of the child in a third space, such as the family home, the Court hopes that the child will recover a relationship with the parent.
The woman appealed to the Court of Cassation on nine grounds. The man resists with a counter-appeal, together with the child’s special guardian.
Observations. The woman considers that the territorial court, in deciding on the complaint, failed to examine the grounds for the same, relying simply on the conclusions of the court-appointed experts – which referred to the figure of parental alienation syndrome (so-called PAS) -, accepting them uncritically, and not considering in any way the pathology suffered by the child and the lack of attention paid by the father with respect to the same. In her view, the court, in assessing the child’s best interests, did not take into account the risks arising for the child from a drastic and incomprehensible uprooting from his environment and affections and from a forced exposure to a situation that was a source of anxiety and fear for him and in any event alien to him. It also considers unjustified the failure to listen to the child, who is almost 12 years old and capable of discernment.
The applicant also complains that the contested measure, even in relation to the absolute prohibition on the child having contact with his mother, does not comply with his best interests and his right not to be interfered with in his private life. It considers that such a drastic measure constitutes, also in the light of ECHR case-law, the extreme ratio in the event of conduct unworthy of the parent. The Supreme Court has stated on several occasions that, in the best interests of the child, respect for the principle of bigenitorial responsibility must be ensured, which is to be understood as the joint presence of the parents in the child’s life, capable of guaranteeing him or her a stable lifestyle and solid emotional relations with both of them, in the duty of the former to cooperate in assistance, education and instruction. This approach is also reflected in the case-law of the ECHR, which invites the national authorities to take all measures to ensure the maintenance of the ties between the parent and the children, stating that for a parent and his or her child, being together is a fundamental element of family life.
Both the Court of Appeal and the Court of First Instance failed to consider the repercussions and traumas that the child would suffer as a result of an abrupt and definitive removal of the child from his or her family environment and from the relationship with his or her mother, with the breaking of all living habits. The right to bigenitorial care is primarily a right of the child, which must be implemented in a way that is in his or her best interests. Any decision on the child’s custody must, as a matter of priority, be oriented towards ensuring the child’s best interests.
The judges held that the fact that the child had always lived with his mother did not mean that his wish not to meet his father, or not to meet him as often as prescribed, was inevitably coerced by his mother. The judges observed that, in the present case, the child, now 12 years old, had to be heard, considering the seriousness of the measure to be taken. In the opinion of the Panel, the father’s right to bigenitoriality is not definitively compromised.
Conclusion. The Court of Cassation dismisses the first ground of appeal, examines jointly and upholds the third, fourth, sixth, seventh, eighth and ninth grounds and declares the remaining grounds inadmissible. The Court of Cassation dismisses the first ground of appeal, examines jointly and upholds the third, fourth, sixth, seventh, eighth and ninth grounds of appeal and declares the remaining grounds to be inadmissible.