Assegno di divorzio, entra anche la convivenza prematrimoniale

Sezioni unite della Cassazione, sentenza n. 35385

La convivenza prematrimoniale entra nella determinazione dell’assegno di divorzio. A dirlo una storica sentenza a Sezioni unite della Cassazione, la n. 35385 depositata il 18.12.2023. La Suprema corte prende atto che la convivenza prima delle nozze “è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società” e ne trae le dovute conseguenze soprattutto nelle ipotesi in cui in quel periodo siano state fatte scelte di vita e professionali determinanti. In quanto “la nozione di «famiglia» – scrive la Corte – è un concetto caratterizzato da una commistione intrinseca di «fatto e diritto»”.

La ricorrente aveva lamentato l’omessa considerazione nella definizione dell’assegno del periodo settennale (dal 1996 al 2003) di convivenza prematrimoniale, nel quale era nato anche il figlio della coppia, evidenziando come “non vi sarebbero differenze tra il comportamento dei coniugi nella fase prematrimoniale e in quella coniugale, soprattutto con riguardo alle scelte comuni di organizzazione della vita familiare e riparto dei rispettivi ruoli”. Secondo la Corte d’appello invece “non risultava che ella avesse sacrificato aspirazioni personali e si fosse dedicata soltanto alla famiglia, rinunciando ad affermarsi nel mondo del lavoro”. Il giudizio è però limitato esclusivamente al periodo di «durata legale del matrimonio», dal novembre 2003 al 2010, e non anche al periodo anteriore, dal 1996, di convivenza prematrimoniale, «poiché gli obblighi nascono dal matrimonio e non dalla convivenza». Sicché, nel ragionamento del giudice di secondo grado, la donna, all’epoca delle nozze, nel 2003, aveva già lasciato il suo lavoro da tempo. E non contava dunque la scelta fatta nel corso della convivenza.

Una lettura che però non soddisfa la Cassazione. Pur ricordando che, nel nostro ordinamento, permane una differenza fondamentale tra matrimonio e convivenza, anche dopo la legge sulle unioni civili (n. 76 del 2016), fondata sulla differenza dei modelli, dato che il matrimonio e, per volontà del legislatore, l’unione civile, appartengono ai modelli c.d. «istituzionali», mentre la convivenza di fatto, al contrario, è un modello «familiare non a struttura istituzionale»; tuttavia, convivenza e matrimonio “sono comunque modelli familiari dai quali scaturiscono obblighi di solidarietà morale e materiale, anche a seguito della cessazione dell’unione istituzionale e dell’unione di fatto”.

Non può infatti escludersi che una convivenza prematrimoniale, laddove protrattasi nel tempo (nella specie, sette anni), abbia «consolidato» una divisione dei ruoli domestici capace di creare «scompensi» destinati a proiettarsi sul futuro matrimonio e sul divorzio che dovesse seguire. E proprio la scelta di dare stabilità ulteriore all’unione di fatto attraverso il matrimonio, che rappresenta il fatto generatore della disciplina dell’assegno divorzile, vale a «colorare» e a rendere giuridicamente rilevante quel modello di vita, la convivenza di fatto o more uxorio, adottato nel passato, nel periodo precedente al matrimonio.

Non si tratta, quindi, prosegue la Cassazione, di introdurre una, non consentita, «anticipazione» dell’insorgenza dei fatti costitutivi dell’assegno divorzile, ma di consentire che il giudice, nella verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno al coniuge economicamente più debole, nell’ambito della solidarietà post coniugale, tenga conto anche delle scelte compiute dalla stessa coppia durante la convivenza prematrimoniale. Ne appare decisiva la mancata previsione nella legge sulle unioni civili di un assegno in caso di cessazione della convivenza, “in quanto si tratta di attribuire specifico peso a quel progetto di vita familiare, già attuato in una comunione di vita, di fatto, che si è poi «trasfuso» in un matrimonio”.

Del resto, passi in avanti nella giurisprudenza sul punto già ce ne erano stati. La sentenza n. 32198/2021, per esempio, tiene conto della convivenza prematrimoniale nel giudizio sulla ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato e il coniuge superstite, “al fine di non penalizzare quest’ultimo nei casi nei quali la più lunga durata del primo matrimonio rispetto a quello del secondo sia stata in concreto compensata dal lungo periodo di convivenza precedente al secondo matrimonio”.

Così tornando al caso specifico, nella determinazione dell’assegno, la Corte d’appello, prosegue la Cassazione, “non ha effettivamente considerato, nella valutazione del contributo al ménage familiare dato dalla donna, anche con il ruolo svolto di casalinga e di madre, per come allegato, il periodo (dal 1996 al 2003), continuativo e stabile, di convivenza prematrimoniale (nell’ambito del quale era nato anche un figlio della coppia), avendo incentrato il giudizio, oltre che sulle disponibilità economiche del soggetto onerato, solo sulla «durata legale del matrimonio».

Le Sezioni unite hanno così affermato

il seguente principio di diritto:” Ai fini dell’attribuzione e della quantificazione (ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970), dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».