L’affidamento c.d. condiviso, con il quale si ribadisce il principio che il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori anche dopo la separazione, c.d. diritto del minore alla bigenitorialità, è stato introdotto dalla L. 54/2006.
Fino al 2006, in Italia, infatti, vigeva il principio prevalente della monogenitorialità che si realizzava attraverso l’affidamento esclusivo dei figli ad uno solo dei genitori (di solito le madri).
L’art. 155 è stato sostituito dal D.lgs. 154/2013 e, nella formulazione attuale, dispone che, in caso di separazione, riguardo ai figli si applicano le disposizioni del Titolo IX, Capo II, avente ad oggetto l’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio.
Il tratto di novità è, dunque, rappresentato dalla nuova collocazione di queste disposizioni che non si trovano più all’interno del Titolo VII, relativo al matrimonio, bensì nel Titolo IX, relativo alla responsabilità genitoriale, ritenendo che si tratti di previsioni che prescindono dalla nascita del figlio nell’ambito di un rapporto matrimoniale.
In particolare l’art. 337 ter c.c. dispone che: “Il figlio minore ha il diritto di mantenere il rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare i rapporti significativi con gli ascendenti e con i propri parenti di ciascun ramo genitoriale.”
La bigenitorialità è dunque il diritto-dovere di entrambi i genitori di mantenere un rapporto continuativo con i figli e di intervenire nella loro educazione, anche in caso di separazione. Quello esposto è un principio consolidato da tempo in altri ordinamenti europei, presente anche nella “Convenzione sui diritti del fanciullo” sottoscritta a New York il 20.11.1989 e resa esecutiva in Italia con L. 176 del 1991.
La bigenitorialità è, pertanto, un diritto del minore che deve avere la possibilità di essere istruito, accudito ed educato da entrambi i genitori nella maniera per lui meno penalizzante possibile.
Affido condiviso non vuol dire dunque avere potestà decisionale condivisa, ma spazi educativi concreti che si attuano di fatto con la convivenza con il figlio, articolata in partecipazione attiva nella vita di questi.
Secondo la giurisprudenza più recente, inoltre, l’assenza di collaborazione tra i genitori in conflitto e il dimostrato comportamento ostile di un genitore nei confronti dell’altro, diretto a impedire al minore di frequentarlo, comporta grave violazione del diritto del figlio al rispetto della vita familiare tutelata dall’art. 8 e non dispensa le autorità nazionali dall’obbligo di garantire il diritto del minore a frequentare entrambi i genitori.
La Suprema Corte di Cassazione con la decisione n. 6919 del 2016 formula un preciso principio di diritto: “In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collcatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”.
La Corte di Cassazione nel formulare il summenzionato principio richiama una recente sentenza della CEDU del 9.1.2013, n. 25704, L. c/Italia, in cui le autorità giudiziarie a fronte degli ostacoli opposti dalla madre affidataria e dalla stessa figlia minore a che il padre esercitasse effettivamente e con continuità il suo diritto di visita, non si erano attivate a mettere in atto tutte le misure necessarie a preservare il legame familiare tra padre e figlia nell’ambito di un procedimento di separazione personale, e per questo lo Stato italiano è stato condannato.
Vanno adottate, dunque, misure finalizzate al rispetto della vita familiare, incluse le relazioni reciproche fra individui e la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati.
L’Avvocato Liana Doro, grazie alla sua notevole esperienza nel campo del diritto di famiglia, è in grado di fornire assistenza legale alle famiglie, accompagnandole in una pratica molto delicata, quale l’affidamento dei minori, che richiede tatto e discrezione.