La questione del criterio della “residenza abituale” in materia di affido del minore viene rimessa alle Sezioni Unite

Il fatto. Il giudice della Federazione Russa cui si era rivolta la ricorrente, si pronunciava sull’affido dei minori alla stessa, ritenendo la residenza abituale dei figli in Russia per fatti maturati a far data dall’epoca in cui la madre si era allontanata dall’Italia per raggiungere il proprio Paese di origine, portando con sé i figli. Di siffatta condotta il giudice competente, secondo la Convenzione dell’Aja del 1980, la Corte di Tverskoy, chiamato a pronunciare sulla richiesta di “rientro” formulata dal padre, aveva escluso in capo alla donna il configurarsi della fattispecie di illecita sottrazione dei minori.
Il Tribunale italiano, investito della domanda di affido ex art. 337-bis c.p.c. dal padre, cittadino italiano, accertava la “residenza abituale” dei minori in Italia, per i periodi a valere dalla nascita dei due bambini, sino al loro allontanamento, e, ancora, da quando la madre aveva fatto spontaneo rientro in Italia con i figli. Più esattamente, in ordine al lasso di tempo indicato, il Tribunale italiano e, quindi, la Corte d’Appello, quale giudice del reclamo, nel dare contenuto alla nozione di “residenza abituale” dei minori, valorizzavano il carattere spontaneo del rientro della madre in Italia, la sottoscrizione da parte della stessa di un accordo conciliativo con l’ex compagno, in cui ella si era impegnata a non sottrarre i figli “dalle loro abitudini di vita come già consolidate in Italia” e, ancora, l’illiceità della condotta materna per i fatti di nuovo allontanamento dal territorio italiano che, tradottisi in un ritenuto “tentativo” di sottrazione, non avevano condotto all’attivazione della procedura di “rientro” ex Convenzione dell’Aja del 1980 ed alle correlate regole sulla giurisdizione, pur nella valorizzata valenza penale di quelle condotte (così per le indagini avviate e la misura cautelare adottata ai danni della madre, in relazione al delitto di cui all’art. 574-bis c.p., dal GIP del Tribunale italiano).
Nel composito quadro fattuale, il giudice italiano investito della cognizione della controversia, non astenendosi nella pendenza del giudizio davanti al tribunale russo, dava conto di una “residenza abituale” dei minori in Italia destinata a trovare consistenza, all’interno di spazi temporali diversi da quelli accertati dal giudice russo. Il Tribunale italiano e la Corte d’appello richiamavano da un lato, gli iniziali anni di vita dei minori, in cui si erano formate e radicate loro abitudini ed esperienze e, dall’altra, la condotta della madre che, già dichiarata genitore affidatario dal tribunale russo, – era rientrata spontaneamente in Italia, con espresso riconoscimento, in ragione dell’accordo raggiunto con l’altro genitore, della residenza abituale dei figli in territorio italiano, in tal modo intesa da quei giudici come riattualizzata nei suoi contenuti.
Avverso la pronuncia della Corte d’Appello, la madre presenta ricorso in Cassazione.
La questione sottoposta alla Corte. La Suprema Corte sottolinea che la premessa da cui muovere è quella, da tempo affermata dalle Sezioni Unite, in adesione ai principi convenzionali ed internazionali, secondo cui, in materia di affido, la giurisdizione è fondata sul criterio della “residenza abituale” del minore al momento della domanda, per un accertamento di mero fatto da operarsi dal giudice, sui dati emergenti agli atti processuali (Cass., S.U. n. 32359/2018 e n. 8042/2018).
Segnatamente, nel caso di specie, la questione riguarda la fissazione della regola volta ad individuare a chi spetti la giurisdizione tra più Stati aderenti alla Convenzione dell’Aja del 1996 là dove venga in applicazione il criterio della “residenza abituale” in materia di affido del minore in un contesto in cui trova applicazione la diversa Convenzione dell’Aja del 1980 che regola gli “aspetti civili della sottrazione internazionale di minori”.
In particolare, la Cassazione chiede alle Sezioni Unite di stabilire se: a) nell’ipotesi in cui vengano adottate più decisioni sull’affido del minore da giudici di più Stati aderenti alla Convenzione dell’Aja del 1996, si realizzi, per ciò stesso, sempre e comunque, un conflitto tra giurisdizioni dei diversi Stati destinato ad essere risolto in forza del principio della prevenzione e nell’ipotesi in cui siano state adottate più pronunzie assistite da forza del giudicato, o suscettibili di passare in cosa giudicata, in applicazione della regola della improcedibilità dell’azione successivamente introdotta; o se, piuttosto: b) siano ammissibili, e tra loro compatibili, più iniziative giudiziarie coltivate davanti agli organi giurisdizionali di più Stati aderenti alla Convenzione dell’Aja del 1996 e, quindi, più pronunce sulla giurisdizione, nella diversità degli accertamenti sottesi alla integrazione della nozione di “residenza abituale” che, nel tempo, e per fatti diversi, il minore abbia avuto presso più Stati aderenti.
The facts. The judge of the Russian Federation, to whom the applicant had applied, ruled on the custody of the children, considering that the children’s habitual residence in Russia had occurred since the mother had left Italy to return to her country of origin, taking the children with her. The competent court, according to the 1980 Hague Convention, the Court of Tverskoy, called to rule on the father’s request to “return”, had ruled that the woman was not guilty of unlawful child abduction.
The Italian court, hearing the application for custody pursuant to Article 337-bis of the Code of Civil Procedure from the father, an Italian citizen, ascertained the “habitual residence” of the children in Italy for the periods from the birth of the two children until their removal, and also from the time when the mother had spontaneously returned to Italy with the children. More precisely, with regard to the period of time indicated, the Italian court and, therefore, the Court of Appeal, as judge of the complaint, in giving content to the notion of “habitual residence” of the children, valued the spontaneous nature of the mother’s return to Italy, her signing of a conciliatory agreement with her ex-partner, in which she undertook not to remove the children “from their life habits as already consolidated in Italy” and, also, the unlawfulness of the mother’s conduct for the facts of new removal from the Italian territory which, resulting in an alleged “attempt” to abduction, had not led to the activation of the procedure of “return” under the Hague Convention of 1980 and the related rules on jurisdiction, even in the enhanced criminal value of that conduct (so for the investigations initiated and the precautionary measure adopted against the mother, in relation to the crime under art. 574-bis c.p., by the GIP of the Italian Court).
In this composite factual framework, the Italian court hearing the case, by not abstaining during the proceedings before the Russian court, took account of the children’s “habitual residence” in Italy, which was intended to take place within a different timeframe from that established by the Russian court. The Italian court and the Court of Appeal referred, on the one hand, to the children’s early years of life, in which their habits and experiences had been formed and taken root, and, on the other, to the conduct of the mother who, having already been declared a foster parent by the Russian court, had returned to Italy voluntarily, with express recognition, by reason of the agreement reached with the other parent, of the children’s habitual residence on Italian territory, thus understood by those courts as having been updated in its content.
The mother appealed to the Court of Cassation against the decision of the Court of Appeal.
The question submitted to the Court. The Supreme Court points out that the premise to be followed is that, long since affirmed by the United Sections, in adherence to conventional and international principles, according to which, in matters of custody, jurisdiction is based on the criterion of the “habitual residence” of the child at the time of the application, for an assessment of mere fact to be made by the court, on the data emerging from the procedural documents (Cass., S.U. no. 32359/2018 and no. 8042/2018).
In particular, in the case at hand, the question concerns the establishment of the rule aimed at identifying who has jurisdiction among several States parties to the 1996 Hague Convention where the criterion of “habitual residence” is applied in matters of child custody in a context where the different 1980 Hague Convention regulating the “civil aspects of international child abduction” is applicable.
In particular, the Court of Cassation asks the United Sections to determine whether: a) in the event that several decisions on child custody are taken by judges of more than one State acceding to the Hague Convention of 1996, there is, for that reason, always and in any case, a conflict between the jurisdictions of the different States that must be resolved by virtue of the principle of prevention and in the event that several decisions have been taken that are legally binding, or that are likely to become res judicata, by application of the rule of inadmissibility of the action subsequently brought; or, rather: (b) it is permissible, and compatible with each other, for more than one legal action to be brought before the courts of more than one State party to the 1996 Hague Convention and, therefore, for more than one decision on jurisdiction, in the diversity of the assessments underlying the integration of the concept of ‘habitual residence’ which, over time and for different facts, the child has had in more than one State party.